Corviano
ATTENZIONE NOTA IMPORTANTE - il sito di Corviano presenta molti punti ad elevato grado di pericolosità per strapiombi, muri pericolanti e zone molto scivolose. Si raccomanda di visitarlo con prudenza e con abbigliamento adatto per le escursioni.
DESCRIZIONE GENERALE DELL'AREA DI CORVIANO
Il monumento Naturale di Corviano è stato istituito con D.G.R. N. T0427 del 21.06.2007. L’area si estende per 72 ha circa, ha una quota che va dai 210 ai 279 m s.l.m. e in linea di massima può essere collocata nella fascia fitoclimatica di transizione tra lauretum freddo e castanetum caldo. L’area ricade all'interno del Comune di Soriano Nel Cimino, è localizzata nella cartografia I.G.M. 1:25000 nel foglio 137 Soriano nel Cimino II N.O. e Foglio 137 III quadrante N.E., nella C.T.R 1:10000 è nella sezione 345114 VITORCHIANO.
E’ una zona estremamente peculiare sia sotto il profilo naturalistico che per le emergenze archeologiche.
Per l’accesso all’area è necessario oltrepassare il torrente Martelluzzo che è largo circa 6 m e profondo 10-20 cm e proseguire a piedi per circa 300 metri lungo una strada in terra battuta. L’accesso al Monumento Naturale con autoveicoli è vietato dalla legge regionale che istituisce l’area protetta ed essendo il torrente Martelluzzo il confine naturale dell’area, il suo attraversamento deve essere interdetto fatta eccezione per gli automezzi destinati al soccorso ed alla manutenzione nonché ai proprietari dei fondi che ricadono all’interno del Monumento Naturale.
LA PARTE ARCHEOLOGICA testimonia una lunga continuità di utilizzo del luogo.
Il Castello - Per le sue caratteristiche strategiche e per la sua facile difendibilità, il luogo è stato occupato già dall’alto medioevo. I resti del castello medioevale (relativi ad un periodo che va dal XI al XIV secolo), occupano un vasto pianoro compreso tra il torrente Vezza ed il Fosso del Martelluzzo. La residenza fortificata è costituita da un recinto e da una serie di muri ed è posizionata lungo il ciglio settentrionale del pianoro. L’analisi delle murature ha messo in evidenza due momenti costruttivi attribuibili alla fine XI-XII secolo (prima fase) ed alla fine XIII-XIV secolo (seconda fase), periodo in cui il castello ha subito importanti trasformazioni edilizie ed un nuovo potenziamento delle difese.Rimangono ancora visibili alcuni tratti (a grandi blocchi, m.1,80 di spessore), costruito intorno all’abitato sui lati deboli e che trova calzanti confronti, nella tecnica costruttiva, con la fortificazione di Ferento (databile tra VI e VII secolo).
La Chiesa - E' presente una chiesa a unica navata con abside e una necropoli con sepolture antropomorfe “a logette” scavate direttamente nel masso o in sarcofago che testimoniano ulteriormente la frequentazione del sito fin dal primo medioevo, periodo nel quale Corviano può essere inserito nel sistema difensivo della fascia di confine tra bizantini e longobardi, tra fine VI e VIII secolo.
Abitazioni Rupestri - L’area presenta delle antiche abitazioni rupestri sui versanti est e sud, realizzate lungo il margine della rupe e che inizialmente (primo medioevo) presentavano un’entrata parietale. Esse successivamente sono state modificate e migliorate con l’aggiunta di scale e l’ampliamento di alcuni ambienti (XIII - XIV sec.). L’insediamento medievale appare citato nelle fonti alla fine dell’XI secolo, le emergenze monumentali che tuttora si osservano sul pianoro vanno dall’XI al XIV secolo.
LA PARTE NATURALISTICA
Il sito si trova su un pianoro di peperino tipico del paesaggio della Tuscia. Presenta una elevata biodiversità, cioè un altissimo numero di specie viventi concentrate in piccole superfici.
La Flora - La vegetazione è di tipo sub-mediterraneo a prevalenza di latifoglie decidue. I boschi sono a dominanza di cerro (Quercus. cerris) e roverella (Q. pubescens) con penetrazioni di leccio (Q. ilex) e altre specie. Il paesaggio è caratterizzato da tre ambienti principali: il bosco misto a cerro-roverella, distribuito sopra il pianoro tufaceo laddove il suolo è più profondo e dove l’acqua diviene relativamente più disponibile nel periodo estivo, grazie alla capacità del substrato tufaceo di immagazzinare le precipitazioni primaverili per poi rilasciarle gradualmente. Sono presenti delle radure con lastroni di peperino affioranti su cui crescono specie erbacee e piccoli arbusti molto frugali come i cisti (Cistus sp.pl.); l’ambiente xerofilo rupestre, in corrispondenza delle pareti scoscese del pianoro, con alberi e arbusti in grado di crescere su substrati rocciosi, come il leccio e il bagolaro (Celtis australis); l’ambiente di forra fluviale con specie più igrofile come l’ontano (Alnus glutinosa) presso il greto del torrente Martelluzzo, mentre il sambuco (Sambucus nigra) e l’olmo (Ulmus minor) risalgono lungo le pareti dei valloni. L’area di Corviano mostra una molteplice varietà di ambienti, a causa della presenza di numerosi microclimi e di diverse situazioni litologiche (= tipi di rocce) e pedologiche (= tipi di suoli). Il querceto deciduo sub-mediterraneo ricopre gran parte dell’area, insediandosi sulla cima del pianoro tufaceo laddove il suolo è più profondo e dove l’acqua diviene relativamente più disponibile nel periodo estivo, grazie alla capacità del substrato tufaceo di immagazzinare le precipitazioni primaverili per poi rilasciarle gradualmente.
Un interessante aspetto dell’area di Corviano è rappresentato dagli ambienti rupestri e dagli altri habitat xerofili (=aridi). Oltre che in corrispondenza delle scarpate verticali tipiche dei canyon nel tufo, i micro-ambienti aridi si riscontrano anche sul pianoro, in occasione di aree pianeggianti ma con roccia affiorante, sparse qua e là nel sito.
Sulle rupi, si insedia una vegetazione molto rada, data l’estrema difficoltà dell’ambiente (suolo assente tranne che in “tasche” e spaccature della roccia). Si tratta di sparsi alberi di leccio (Quercus ilex), bagolaro (Celtis australis), fico selvatico (Ficus carica) e terebinto (Pistacia terebinthus), che insinuano le loro radici in fratture della roccia (spesso divaricandole ulteriormente e causando piccoli crolli, costituendo anche un fattore di degrado della abitazioni rupestri); ampie superfici possono essere ricoperte dall’edera (Hedera helix), specialmente se la parete è esposta a nord. Per il resto, la roccia è nuda, ricoperta al massimo da varie specie di licheni crostosi e da colonie di alghe terrestri e di particolari batteri in grado di effettuare la fotosintesi (impropriamente chiamati “alghe azzurre”), che sfruttano le aree in cui l’acqua cola più frequentemente, e dotate quindi di un velo di umidità costante.
Sugli ambienti di roccia affiorante del pianoro, si insedia invece una vegetazione “pioniera”, ovvero formata da specie in grado di colonizzare suoli molto sottili o la roccia nuda; queste piante contribuiscono, con un processo che richiede tempi molto lunghi (anche parecchi secoli), a creare gradualmente uno strato di suolo e quindi a consentire infine l’insediamento della vegetazione forestale analoga a quella del resto dell’altopiano. Peraltro, queste piante oltre che pioniere, cioè adattate all’assenza di suolo, devono essere anche xerofile, cioè in grado di sopravvivere alla scarsità d’acqua e alle elevate temperature: due fattori che caratterizzano il microclima delle rocce affioranti.
Per risolvere questi problemi, le diverse specie xerofile degli affioramenti tufacei adottano differenti strategie:
LA PARTE GEOLOGICA
Le ripide pareti della rupe sono costituite dai depositi piroclastici sialici eruttati dall’apparato cimino: il "peperino tipico del viterbese”, successivamente ricoperti dalle vulcaniti alcalino-potassiche dell’apparto vicano che inizia la sua attività alla fine di quella cimina. Complessivamente questi depositi costituivano un ampio plateau vulcanico che è stato profondamente inciso dall’azione delle acque. I processi erosivi nel corso del tempo hanno scalzato alla base i depositi vulcanici generando una serie di frane di crollo e di ribaltamento che hanno modellato le pareti tufacee. I successivi crolli hanno prodotto un mosaico di grossi blocchi lapidei localmente definiti “massi erratici”, che si sono accumulati alle loro pendici sui sottostanti depositi sedimentari marini (prevalentemente a base argillosa) generando un paesaggio molto peculiare. Questi processi franosi sono tuttora attivi e nuovi crolli rischiano di compromettere la stabilità della rupe e di danneggiare le sue notevoli testimonianze archeologiche. Si ritiene che i grandi massi di peperino, che si sono staccati dalla rupe e che si trovano a fondo valle, venissero utilizzati sia come luoghi sacri, sia per impiantare vigneti. La vite veniva posta alla base di un grosso blocco ed i tralci venivano portati sulla sua superficie e sostenuti da un sistema di pali per garantire una ottimale esposizione. Il calore diretto del sole associato a quello trasmesso dalla roccia favoriva la maturazione dei grappoli. Questo ingegnoso sistema garantiva la possibilità di mitigare le condizioni climatiche del luogo, non particolarmente favorevoli alla coltivazione della vite.
(estratto dalla relazione del Dipartimento di tecnologie, Ingegneria e Scienze dell'Ambiente e Forestale - DAF - del 30 luglio 2010)
Il monumento Naturale di Corviano è stato istituito con D.G.R. N. T0427 del 21.06.2007. L’area si estende per 72 ha circa, ha una quota che va dai 210 ai 279 m s.l.m. e in linea di massima può essere collocata nella fascia fitoclimatica di transizione tra lauretum freddo e castanetum caldo. L’area ricade all'interno del Comune di Soriano Nel Cimino, è localizzata nella cartografia I.G.M. 1:25000 nel foglio 137 Soriano nel Cimino II N.O. e Foglio 137 III quadrante N.E., nella C.T.R 1:10000 è nella sezione 345114 VITORCHIANO.
E’ una zona estremamente peculiare sia sotto il profilo naturalistico che per le emergenze archeologiche.
Per l’accesso all’area è necessario oltrepassare il torrente Martelluzzo che è largo circa 6 m e profondo 10-20 cm e proseguire a piedi per circa 300 metri lungo una strada in terra battuta. L’accesso al Monumento Naturale con autoveicoli è vietato dalla legge regionale che istituisce l’area protetta ed essendo il torrente Martelluzzo il confine naturale dell’area, il suo attraversamento deve essere interdetto fatta eccezione per gli automezzi destinati al soccorso ed alla manutenzione nonché ai proprietari dei fondi che ricadono all’interno del Monumento Naturale.
LA PARTE ARCHEOLOGICA testimonia una lunga continuità di utilizzo del luogo.
Il Castello - Per le sue caratteristiche strategiche e per la sua facile difendibilità, il luogo è stato occupato già dall’alto medioevo. I resti del castello medioevale (relativi ad un periodo che va dal XI al XIV secolo), occupano un vasto pianoro compreso tra il torrente Vezza ed il Fosso del Martelluzzo. La residenza fortificata è costituita da un recinto e da una serie di muri ed è posizionata lungo il ciglio settentrionale del pianoro. L’analisi delle murature ha messo in evidenza due momenti costruttivi attribuibili alla fine XI-XII secolo (prima fase) ed alla fine XIII-XIV secolo (seconda fase), periodo in cui il castello ha subito importanti trasformazioni edilizie ed un nuovo potenziamento delle difese.Rimangono ancora visibili alcuni tratti (a grandi blocchi, m.1,80 di spessore), costruito intorno all’abitato sui lati deboli e che trova calzanti confronti, nella tecnica costruttiva, con la fortificazione di Ferento (databile tra VI e VII secolo).
La Chiesa - E' presente una chiesa a unica navata con abside e una necropoli con sepolture antropomorfe “a logette” scavate direttamente nel masso o in sarcofago che testimoniano ulteriormente la frequentazione del sito fin dal primo medioevo, periodo nel quale Corviano può essere inserito nel sistema difensivo della fascia di confine tra bizantini e longobardi, tra fine VI e VIII secolo.
Abitazioni Rupestri - L’area presenta delle antiche abitazioni rupestri sui versanti est e sud, realizzate lungo il margine della rupe e che inizialmente (primo medioevo) presentavano un’entrata parietale. Esse successivamente sono state modificate e migliorate con l’aggiunta di scale e l’ampliamento di alcuni ambienti (XIII - XIV sec.). L’insediamento medievale appare citato nelle fonti alla fine dell’XI secolo, le emergenze monumentali che tuttora si osservano sul pianoro vanno dall’XI al XIV secolo.
LA PARTE NATURALISTICA
Il sito si trova su un pianoro di peperino tipico del paesaggio della Tuscia. Presenta una elevata biodiversità, cioè un altissimo numero di specie viventi concentrate in piccole superfici.
La Flora - La vegetazione è di tipo sub-mediterraneo a prevalenza di latifoglie decidue. I boschi sono a dominanza di cerro (Quercus. cerris) e roverella (Q. pubescens) con penetrazioni di leccio (Q. ilex) e altre specie. Il paesaggio è caratterizzato da tre ambienti principali: il bosco misto a cerro-roverella, distribuito sopra il pianoro tufaceo laddove il suolo è più profondo e dove l’acqua diviene relativamente più disponibile nel periodo estivo, grazie alla capacità del substrato tufaceo di immagazzinare le precipitazioni primaverili per poi rilasciarle gradualmente. Sono presenti delle radure con lastroni di peperino affioranti su cui crescono specie erbacee e piccoli arbusti molto frugali come i cisti (Cistus sp.pl.); l’ambiente xerofilo rupestre, in corrispondenza delle pareti scoscese del pianoro, con alberi e arbusti in grado di crescere su substrati rocciosi, come il leccio e il bagolaro (Celtis australis); l’ambiente di forra fluviale con specie più igrofile come l’ontano (Alnus glutinosa) presso il greto del torrente Martelluzzo, mentre il sambuco (Sambucus nigra) e l’olmo (Ulmus minor) risalgono lungo le pareti dei valloni. L’area di Corviano mostra una molteplice varietà di ambienti, a causa della presenza di numerosi microclimi e di diverse situazioni litologiche (= tipi di rocce) e pedologiche (= tipi di suoli). Il querceto deciduo sub-mediterraneo ricopre gran parte dell’area, insediandosi sulla cima del pianoro tufaceo laddove il suolo è più profondo e dove l’acqua diviene relativamente più disponibile nel periodo estivo, grazie alla capacità del substrato tufaceo di immagazzinare le precipitazioni primaverili per poi rilasciarle gradualmente.
Un interessante aspetto dell’area di Corviano è rappresentato dagli ambienti rupestri e dagli altri habitat xerofili (=aridi). Oltre che in corrispondenza delle scarpate verticali tipiche dei canyon nel tufo, i micro-ambienti aridi si riscontrano anche sul pianoro, in occasione di aree pianeggianti ma con roccia affiorante, sparse qua e là nel sito.
Sulle rupi, si insedia una vegetazione molto rada, data l’estrema difficoltà dell’ambiente (suolo assente tranne che in “tasche” e spaccature della roccia). Si tratta di sparsi alberi di leccio (Quercus ilex), bagolaro (Celtis australis), fico selvatico (Ficus carica) e terebinto (Pistacia terebinthus), che insinuano le loro radici in fratture della roccia (spesso divaricandole ulteriormente e causando piccoli crolli, costituendo anche un fattore di degrado della abitazioni rupestri); ampie superfici possono essere ricoperte dall’edera (Hedera helix), specialmente se la parete è esposta a nord. Per il resto, la roccia è nuda, ricoperta al massimo da varie specie di licheni crostosi e da colonie di alghe terrestri e di particolari batteri in grado di effettuare la fotosintesi (impropriamente chiamati “alghe azzurre”), che sfruttano le aree in cui l’acqua cola più frequentemente, e dotate quindi di un velo di umidità costante.
Sugli ambienti di roccia affiorante del pianoro, si insedia invece una vegetazione “pioniera”, ovvero formata da specie in grado di colonizzare suoli molto sottili o la roccia nuda; queste piante contribuiscono, con un processo che richiede tempi molto lunghi (anche parecchi secoli), a creare gradualmente uno strato di suolo e quindi a consentire infine l’insediamento della vegetazione forestale analoga a quella del resto dell’altopiano. Peraltro, queste piante oltre che pioniere, cioè adattate all’assenza di suolo, devono essere anche xerofile, cioè in grado di sopravvivere alla scarsità d’acqua e alle elevate temperature: due fattori che caratterizzano il microclima delle rocce affioranti.
Per risolvere questi problemi, le diverse specie xerofile degli affioramenti tufacei adottano differenti strategie:
- Possono resistere all’aridità, grazie a speciali tessuti che accumulano l’acqua, come le piante grasse del genere Sedum; oppure grazie a tessuti che riducono moltissimo la traspirazione (es. foglie ricoperte da peluria e cere, oppure foglie aghiformi), come l’elicriso (Helichrysum sp. pl.).
- Possono sfuggire del tutto all’aridità, completando il loro ciclo vitale rapidamente, prima dell’arrivo dell’estate, come molte piante erbacee annuali (ad es. le piante del genere Linum, cioè il lino selvatico), che scompaiono ai primi caldi lasciando solo i semi; oppure passando l’estate sotto forma di bulbi sotterranei, come le specie del gen. Romulea (a sviluppo primaverile) o la Scilla autumnalis (a sviluppo autunnale).
LA PARTE GEOLOGICA
Le ripide pareti della rupe sono costituite dai depositi piroclastici sialici eruttati dall’apparato cimino: il "peperino tipico del viterbese”, successivamente ricoperti dalle vulcaniti alcalino-potassiche dell’apparto vicano che inizia la sua attività alla fine di quella cimina. Complessivamente questi depositi costituivano un ampio plateau vulcanico che è stato profondamente inciso dall’azione delle acque. I processi erosivi nel corso del tempo hanno scalzato alla base i depositi vulcanici generando una serie di frane di crollo e di ribaltamento che hanno modellato le pareti tufacee. I successivi crolli hanno prodotto un mosaico di grossi blocchi lapidei localmente definiti “massi erratici”, che si sono accumulati alle loro pendici sui sottostanti depositi sedimentari marini (prevalentemente a base argillosa) generando un paesaggio molto peculiare. Questi processi franosi sono tuttora attivi e nuovi crolli rischiano di compromettere la stabilità della rupe e di danneggiare le sue notevoli testimonianze archeologiche. Si ritiene che i grandi massi di peperino, che si sono staccati dalla rupe e che si trovano a fondo valle, venissero utilizzati sia come luoghi sacri, sia per impiantare vigneti. La vite veniva posta alla base di un grosso blocco ed i tralci venivano portati sulla sua superficie e sostenuti da un sistema di pali per garantire una ottimale esposizione. Il calore diretto del sole associato a quello trasmesso dalla roccia favoriva la maturazione dei grappoli. Questo ingegnoso sistema garantiva la possibilità di mitigare le condizioni climatiche del luogo, non particolarmente favorevoli alla coltivazione della vite.
(estratto dalla relazione del Dipartimento di tecnologie, Ingegneria e Scienze dell'Ambiente e Forestale - DAF - del 30 luglio 2010)
Cavità rupestri o abitazioni ipogee
Siti internet su Corviano
Documenti su Corviano
Video su Corviano
Il Pietreto
Alle pendici della zona archeologica di Corviano esiste un'ampia zona chiamata Il Pietreto.
E' un pendio fittamente disseminato di massi delle più svariate dimensioni quasi certamente derivanti da distaccamenti dalla rupe sovrastante, sede del castello e delle case rupestri ipogee. Alcuni di questi blocchi, oltre che dal tempo, rivelano molte lavorazioni da parte dell'uomo, probabilmente quando ancora erano saldamente "attaccati" alla rupe di Corviano.
Il declivio rivela antiche sistemazioni e terrazzamenti con muri in pietra di antica data che oggi vengono sfruttati per la coltivazione del nocciolo e di qualche noce.
E' un pendio fittamente disseminato di massi delle più svariate dimensioni quasi certamente derivanti da distaccamenti dalla rupe sovrastante, sede del castello e delle case rupestri ipogee. Alcuni di questi blocchi, oltre che dal tempo, rivelano molte lavorazioni da parte dell'uomo, probabilmente quando ancora erano saldamente "attaccati" alla rupe di Corviano.
Il declivio rivela antiche sistemazioni e terrazzamenti con muri in pietra di antica data che oggi vengono sfruttati per la coltivazione del nocciolo e di qualche noce.